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  • Immagine del redattoreStefano Cetani

L’ambivalenza della Solitudine

Aggiornamento: 29 mag 2023



Non esistono le cose in sé, esistono solo le cose in relazione a qualche altra cosa…


Viviamo in un mondo di interazione, non viviamo in un mondo di monadi, di entità isolate con delle finestre nel mondo,

ma viviamo in constante interazione…

Persino la fisica oggi sa che l’unica teoria veramente accettabile, è la teoria dei diversi punti di vista…

Tutto è interazione, niente è in sé, ogni cosa è in relazione alle altre cose…

Pertanto parlare di solitudine appare quasi paradossale…

Il fenomeno della solitudine è un fenomeno psicologico, reale, concreto…




Cercare di parlare di solitudine come qualcosa di anelato, fa parte solo di particolari esperienze dove però il singolo cerca quella cosa, ma non è solo, perché accompagnato da ciò che lui esalta, che sia un viaggio mistico, che sia un viaggio di esperienza estrema…

Mentre la solitudine che affligge, è quella di quando tu ti senti disperatamente solo, quando senti che nessuno brama per te…


Si può stare soli a patto che qualcuno brami per te… Che vuol dire che non ti senti solo…


La sensazione di solitudine individuale, non dipende dalla presenza o assenza di persone intorno, dipende da come si percepisce il proprio stato, ovvero posso essere solo in mezzo alla gente, ma posso essere in compagnia da solo, in compagnia con le mie sensazioni, o con l’essenza che vado a ricercare…


Il paradosso insito alla solitudine è il fatto che io devo imparare a stare da solo per imparare a stare con gli altri e devo imparare a stare con gli altri, per imparare a stare da solo…


La solitudine è inevitabile, per questo va accettata senza volerla evitare a tutti i costi, perché è impossibile, ma quanto più ci si prende cura dell’altro, quanto meno ci si sente soli, quanto più si impara a stare da soli, quanto più si sà prendersi cura dell’altro…


Questa è la cura essenziale della solitudine, la gestione di quest'ultima è imparare a stare da soli coltivando se stessi, perché solo in certe solitudini si riesce a migliorare alcune prerogative caratteristiche o scoprire delle proprie risorse, ma per riuscire a fare bene questo, bisogna riuscire a stare bene con l’altro, ma per stare bene con l’altro, bisogna far star bene l’altro con me, e se si riesce a fare questo, si crea una dinamica di interazione…


Quindi in un senso di sano egoismo, più dò agli altri più tutto il dare mi ritorna indietro amplificato, ma ci deve essere l’interazione con l’altro, altrimenti diventa altruismo…

Ed in questo gioco tutti diventiamo complici di non sentirsi soli, ovvero saper stare da soli, ma non sentirsi soli…


Senti il contatto intimo con l’altro e l’altro mi fa sentire il contatto intimo con me, ma questo non ci salva definitivamente dalla solitudine, sarà un esperienza di quell’attimo, poi grazie a quell’attimo di compenetrazione o compassione (passione con, essere con) io posso accettare di stare da solo per entrare in compassione con me stesso, questo è il gioco, e come tutti i giochi, i bambini ce lo insegnano, che giocare è la cosa più seria che esiste a questo mondo…


Un abbraccio

Stefano Cetani


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